Le Catacombe di San Gennaro
Nel contributo si ripercorre la storia degli studi delle catacombe di S. Gennaro a Capodimonte, dall’entusiasmo degli eruditi che le esplorarono nel XVII e XVIII secolo, ai primi scavi archeologici condotti nella prima metà dell’800 fino alle indagini del XX secolo che hanno portato all’individuazione della prima tomba del martire nel cimitero e hanno chiarito molti punti oscuri e discussi della topografia della catacomba, di non facile ricostruzione.
Il complesso monumentale, sorto agli inizi del III secolo, è molto ampio e articolato e deve il suo imponente sviluppo e l’intensa frequentazione cultuale, in primo luogo, alla presenza delle reliquie del martire Gennaro, ivi traslate, come è noto, nella prima metà del V secolo. Nello stesso cimitero erano sepolti anche vari vescovi napoletani, oggetto anch’essi di forte devozione. La traslazione dei corpi venerati nel corso del IX secolo, non comportò l’abbandono delle catacombe, ormai prive delle sante reliquie; il vescovo Atanasio I (849-872) promosse vari interventi di restauro nel cimitero e istituì nell’area un monastero intitolato a Gennaro e ad Agrippino. Il convento, abitato fino al XV secolo, fu poi abbandonato e trasformato in lazzaretto. Varie gallerie e cubicoli delle catacombe, allora, riempite di cadaveri, furono murate all’ingresso e il complesso funerario, che presentava ampie zone ostruite e interrate, divenne solo in parte accessibile. Si perse dunque progressivamente la memoria dell’aspetto del cimitero e della distribuzione topografica dei luoghi di culto ipogei. Nell’area spiccava la basilica sub divo di S. Gennaro extra-moenia, completamente ristrutturata nella metà del ‘300. Su di essa si sofferma nel XVI secolo Pietro De Stefano il quale, nella sua opera sui luoghi sacri di Napoli pubblicata nel 1560, non fa invece cenno alle contigue catacombe, che saranno ricordate solo alcuni decenni più tardi in relazione al culto di S. Gennaro. Nei primissimi anni del ‘600 infatti, nell’Historia della città e del Regno di Napoli, G. A. Summonte, parlando della vicenda del martirio del santo, menziona il cimitero richiamando in particolare l’attenzione su una basilica cavata nel tufo -ovvero quella posta nella catacomba inferiore e oggi attribuita a S. Agrippino- che l’autore identifica con la chiesa edificata, secondo alcune fonti, dal vescovo Severo in onore di S. Gennaro, per deporvi le reliquie del martire al momento della loro traslazione a Napoli. Ne fornisce poi una breve descrizione, sottolineando l’importanza del luogo che però “non è a molti noto per esser stato lungo tempo sotterrato e pieno di ossa degli appestati”. Dopo questi primi vaghi cenni, nel corso del XVII secolo e poi in quello successivo, cresce progressivamente tra gli eruditi l’interesse per il complesso monumentale, di cui si trova notizia sia in opere su Napoli di carattere descrittivo storico-geografico, sia in scritti sulla vita e il culto di S. Gennaro. Si ribadisce in questi testi, diversi tra loro nello spirito e negli intenti, l’identificazione della basilica nel piano inferiore con quella fondata da Severo per deporvi le reliquie del martire e, al contempo, si forniscono notizie più diffuse e dettagliate sul cimitero che esercita grande fascino e viene quindi visitato sempre più di frequente. Lo stato dei luoghi, esplorabili con difficoltà, contribuisce ad alimentare la curiosità e talora la fantasia dei visitatori, e favorisce la nascita di convinzioni errate e leggende, come quella sulla comunicabilità del cimitero sotterraneo con le altre catacombe napoletane.
Per un diverso approccio al monumento si dovrà aspettare il XIX secolo, con le opere di C.F. Bellermann e di A. De Jorio, che, pubblicate entrambe nel 1839, segnano una svolta negli studi, in primo luogo, per la redazione di rilievi accurati delle catacombe, di cui si verifica l’effettiva estensione, grazie anche all’esplorazione di aree interrate. Alla curiosità e alle ricostruzioni suggestive ma fantasiose, ancora presenti ad esempio nella dissertazione sulle catacombe di A.A. Pelliccia del 1781, si sostituisce un’attitudine scientifica, la volontà di conoscere e indagare con maggior rigore il monumento, che, pur con i limiti metodologici dell’epoca, viene infatti descritto con precisione e stringatezza da De Jorio. Lo studioso, senza indulgere a ipotesi o teorie che non siano basate su solidi documenti, ‘fotografa’ lo stato della catacomba al suo tempo, le zone già visitabili e quelle scavate di recente, le pitture e i materiali in essa conservati. Descrive, tra gli altri, un cubicolo -da lui scoperto- decorato da tre strati di affreschi sovrapposti, di cui il più recente rappresentava S. Gennaro coi suoi compagni di martirio, che sarà identificato solo oltre un secolo dopo con la confessio del martire, dove furono inizialmente deposte le sue reliquie. Non colse l’importanza dell’ambiente G. A. Galante il quale, tra la fine dell’ ‘800 e i primi anni del ‘900, condusse ampie indagini in catacomba, in particolare nel vestibolo inferiore e nell’area circostante; queste portarono a importanti risultati come l’identificazione della basilica dei Vescovi e la scoperta del fonte battesimale del vescovo Paolo II. Nel corso del XX secolo a più riprese si effettuano scavi nel complesso. Negli anni ’20 si esplorano la basilica a cielo aperto, di cui si individua l’originaria fase paleocristiana, e il braccio di catacomba retrostante; altri interventi risalgono al secondo dopoguerra nell’ambito del progetto di ripristino del monumento adibito, durante la guerra, a ricovero antiaereo. Nonostante le ripetute esplorazioni del cimitero, però numerosi restavano i punti oscuri o incerti nella ricostruzione della storia e topografia del monumento, in gran parte poi chiariti con gli scavi condotti da U.M. Fasola negli anni ’70; questi hanno portato alla scoperta, come è noto, del fulcro cultuale della catacomba, ovvero la Cripta dei Vescovi -fino ad allora ostruita da un muro e interrata- con la sottostante confessio del martire e hanno consentito così una corretta interpretazione delle notizie delle fonti letterarie.
Alla luce dell’articolata storia degli studi e delle esplorazioni del complesso ianuariano in età moderna e contemporanea, la ricerca mira a definire lo stato delle catacombe nel corso dei secoli, a ricostruire analiticamente quali erano le zone conosciute e accessibili nelle varie epoche, e a valutare, nel contempo, qual era la percezione del monumento nei diversi contesti storici. L’interesse crescente per l’area in età moderna, originato dalla memoria nel sito del culto di S. Gennaro, è evidente nelle opere di XVII e XVIII secolo; in esse, nell’ambito di un’erudizione storica di carattere municipale, l’attenzione verso le catacombe appare dettata da interessi ora in prevalenza agiografici ora prettamente storici o topografici, sovente animati, in entrambi i casi, da curiositas antiquaria. L’atteggiamento diverso emerso nel corso dell’800, quando prevale la volontà di conoscere e documentare scientificamente il sito, giungerà a piena maturazione solo nell’ultimo trentennio del XX secolo. In questa fase i progressi nella metodologia archeologica, di pari passo con il consolidarsi di un nuovo approccio alla tutela e conservazione dei beni monumentali, porteranno ad un notevole ampliamento delle conoscenze e ad una ricostruzione storica e topografica più rigorosa. Oggi si auspica che su questa stessa linea proseguano le ricerche e si possa dare risposta ad alcuni interrogativi che restano ancora aperti su un monumento complesso come le catacombe di S. Gennaro, importante fonte di informazioni per la storia della chiesa e della città di Napoli.